Oggi parliamo della dirigenza del Servizio Sociale di Trieste.
Il grado di civiltà di una città si misura attraverso i Servizi e la qualità con cui vengono trattati i bambini e le persone anziane e/o fragili.
Nella parte più bella della mia vita durante la quale non avevo mai sentito parlare di Welfare, Asugi, Politiche Sociali, Assessori, Sindaci, Patronati, Fondazioni etc. perché non ne avevo avuto il bisogno, mi ero creato una visione umanistica relativamente alla Pubblica Amministrazione, anni luce lontana dalla realtà.
Ero, come buona parte dei cittadini in buona fede, condizionato dai ripetuti elogi giornalistici, televisivi, o dalla lettura di altrettanto splendidi siti web (pagati con i soldi nostri). Ero talmente ingenuo da non accorgermi come lavorava e lavora la propaganda, e di quanta avidità, ipocrisia e falsità, sono pieni i politici nostrani e non. Mi era impossibile credere che una società riuscisse ad essere così vile: debole con i forti e forte con i deboli, come poi, nei momenti più critici delle mie fragilità, si è rivelata. Una società è composta da esseri umani prima, persone (maschere) poi e facenti funzioni (ruoli) infine. Quando e se userò aggettivi qualificativi che possano essere considerati offensivi, questi vanno intesi in quanto rivolti solamente alle ultime due figure.
Due volte ho avuto il piacere di confrontarmi con la dott.ssa Ambra DE CANDIDO (tramite posta elettronica), ovviamente per motivi di disservizio nelle Politiche Sociali e per questioni di carattere economico.
Solo per puntualizzare l’eccezionale modus operandi, serve ricordare che prima di essere degnato di una Sua risposta, ho dovuto prima fare un esposto in Procura elencando il calvario di cui sono stato vittima, al contempo ho dovuto elencare una parte dei disservizi dei (sembra un gioco di parole) Servizi Sociali Triestini.
Nel muro di gomma creato ad hoc da quel genio che ha deciso l’organigramma dei Servizi Sociali (evitando di entrare nelle qualità umane e nella sensibilità che di certo non brilla nei rappresentati della parte alta, e bassa, della piramide con cui mi sono confrontato) di certo si smarrirebbe qualsiasi persona sana e benestante, figuriamoci una persona fragile, ammalata, convalescente e senza soldi.
Partiamo dal primo gradino: una persona fragile deve interloquire con l’assistente sociale di riferimento per qualsivoglia tipo di bisogno. Qui come si usa dire è una questione di culo. Personalmente a volte l’ho avuto, altre meno, altre decisamente no. Su un solo punto però tutte le assistenti erano concordi: c’è poco personale e (come per i nostri politici) non hanno la bacchetta magica per seguirci tutti (visto come apprendono presto?).
Sorge spontanea una risposta ovvia: spiegate alla cima della piramide che manca il personale, se non vi ascoltano scioperate, andate alla TV, fate banchetti in città… Da questo orecchio tutte sembrano sorde.
Poi, quasi a dare ragione a chi le sfrutta, affermano: “Non ci sono soldi”.
Risposta ovvia: spiegate alla cima della piramide che mancano i soldi e che non è compito vostro trovarli, visto che per qualsivoglia tipologia di interesse politico, quando si vuole, si trovano persino per mandare armi all’estero (in un paese che non fa parte della NATO) in barba all’articolo della Costituzione Italiana che recita: “L’Italia ripudia la guerra”.
Tanto per sorridere un po’ va detto che sono previste (bontà loro) anche quelle richieste che vengono definite “urgenze”. Una persona “normale” con licenza elementare (non serve essere dottoresse) ritiene che con questo termine si intenda, vocabolario alla mano “una necessità impellente” e che proprio per rispettare il significato stesso del termine queste tipologie di problematiche vengano risolte prima delle altre. Nel mondo dei Servizi Sociali di Trieste un “urgenza”, parte dal momento in cui si riesce a un prendere appuntamento (se il telefono funziona), ci si reca nel loro ufficio, si espone il problema e dopo aver presentato una richiesta atta a risolvere l’oggetto dell’urgenza si attende pazienti una risposta (favorevole o meno) che dovrebbe arrivare dopo 30 giorni dalla domanda, tramite servizio postale.
Nei casi più sfortunati, quando nessuno risponde al telefono, o se l’assistente sociale è assente (cosa molto frequente), una segreteria telefonica invita a rivolgersi ad un altro eccezionale Servizio (privato) chiamato Televita. C’è gente che è morta aspettando la risposta (scherzo naturalmente), ma di certo è utile armarsi di santa pazienza.
Nel mio caso, per anticipare i tempi delle urgenze, (visto che so usare una casella di posta elettronica, e mi chiedo cosa può accadere a chi non sa farlo) se l’assistente sociale non risponde al telefono oppure lo stesso è perennemente occupato, uso infatti per prima cosa mandare sia delle email, dei SMS, e uso pure whatsapp.
Quando (era una delle mie prime esperienze) ho percepito un totale mutismo su tutti i fronti, ma ho trovato la linea di Televita libera, un’operatrice che non era in grado di dirmi nulla, se l’assistente era ammalata, in ferie, morta o che altro, o con quale sostituto potevo conferire per spiegare la mia “urgenza”, mi riferiva di non preoccuparmi e che saranno loro a mandare una email alla mia Assistente Sociale. Grazie al piffero, meno male che c’erano loro, veramente un servizio efficientissimo.
Bisognerebbe spiegare alla cima della piramide che l’urgenza è qualcosa che va risolta subito e che Televita in questo caso è solamente una spesa inutile che il Comune sostiene (con i nostri soldi). Da notare che se li avvisi, invece che ringraziarti e porre rimedio, si offendono pure.
Poi c’è un’altra risposta classica, per toglierti dalle palle: si rivolga alle Fondazioni Benefiche private per ottenere un aiuto economica. Alla quale segue una risposta ovvia (forse poco cortese) che recita: “ma voi che ci state a fare, perché vi paghiamo? Perché non rispettate La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sanciti con la legge 881 e la Costituzione?” Quando poi si hanno le competenze per elencare tutte le violazioni dei Diritti Umani e della Costituzione che esse stesse stanno violando (e per cui potrebbero essere denunciate), si arriva al capolinea.
A quel punto, ammesso che le dottoresse comprendano di cosa stiamo parlando, si viene invitati a rivolgersi ai loro superiori.
“Non sappiamo cosa fare, non è colpa nostra”, rispondono. Non sò cosa dirle, si rivolga al Sindaco o all’Assessore. Senza darti le istruzioni legali sulle modalità per farlo. I comuni mortali e gli enti avrebbero l’obbligo di dare risposta scritta, motivata e firmata entro 30 giorni dalla ricezione della PEC o della copia dell’atto protocollato. Chiaramente non tutte le persone fragili lo sanno e non tutte hanno la forza interiore per resistere, pazientare e rivolgersi alla Procura.
A quel punto DIPIAZZA Roberto e TOGNOLLI Massimo non rispondono alle PEC, nemmeno alle richieste formali protocollate in Comune. Passano la palla (come direbbe GRILLI Carlo ai tempi delle carte burocratiche del Reddito Di Cittadinanza, palleggiate tra Poste Italiane e INPS che lasciarono per 6 mesi i percettori di RDC alla fame) alla meravigliosa signora in odor di pensionamento DE CANDIDO Ambra (che nel frattempo aveva già ricevuto la copia del mio esposto).
Dimostrando grande umanità e senso civico la DE CANDIDO Ambra, relativamente alla mia osservazione che con 540 euro di RDC è impossibile pagare un affitto di 300 euro, le bollette, il cibo, le medicine e Dio non voglia un imprevisto, così testualmente rispose dopo avermi ricordato che negli anni precedenti il Comune aveva stanziato delle cifre “importanti” a mio favore (come se non fosse un loro compito istituzionale):
“A tale proposito le faccio presente che il patto che lei ha sottoscritto per poter percepire il Reddito di Cittadinanza prevede l’utilizzo di tali fondi anche per il pagamento dell’affitto e non certo per usufruire di cure private”.
Non paga in relazione agli “splendidi” servizi erogati da misteriose cooperative Piemontesi ed Emiliane (delle quali non è possibile avere né telefono né alcun modo di comunicare con i responsabili) continua:
“Dispiace infine prendere atto che dal suo punto di vista emerge scarsa fiducia nei servizi pubblici sia sanitari che sociali, tuttavia una buona relazione di aiuto non può prescindere da questo. I suoi problemi avrebbero potuto trovare miglior risposta in una serena collaborazione…”
Mettendo così nero su bianco che è lecito nel Suo modo di applicare la Legge fare una discriminazione tra coloro che segnalano (nel mio caso con spirito di critica costruttiva) le incongruenze dell’operato dei Servizi e coloro che non lo fanno.
E la Magistratura? Archivia.